L’EMERGENZA ABITATIVA ED UNA PROSPETTIVA PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA

Di Carlo Palmeri e Andrea Massacci

L’emergenza abitativa in Italia ha assunto una dimensione ed una gravità da non poter più essere trascurata dalla classe politica e da tutte le amministrazioni del settore pubblico che ne sono responsabili. La lunga crisi economico-finanziaria iniziata nel 2011 ha contribuito al deteriorarsi di una situazione già delicata in origine, accrescendo il bacino delle famiglie a cui non si riesce a dare più soluzioni abitative adeguate. Come rilevato recentemente da Ipsos nell’indagine “Il welfare familiare – un’analisi delle famiglie italiane”, l’impoverimento delle famiglie italiane a causa dello sbilanciato rapporto redditi/potere di acquisto sta portando i genitori a non poter più impegnarsi nell’acquisto di un’abitazione per i propri figli come succedeva in passato; al tempo stesso i figli non sono in grado per molti anni di potersi assumere in proprio un finanziamento per carenza di stabilità della posizione lavorativa o basso livello di reddito; tutto ciò prospetta un ulteriore impulso al deterioramento della situazione.

Questa drammatica situazione, aggravata anche dall’incrementata presenza di immigrati senza redditi, ha alimentato anche il fenomeno delle occupazioni abusive, sia di singole case popolari che di interi edifici di investitori. Si stima che sullo stock totale delle abitazioni in Italia ci sia un’incidenza pari al 6,8% di edifici cielo-terra, di proprietà pubblica e privata, occupati abusivamente, concentrati soprattutto al sud (53%) ed al centro (37%) (fonte Federcasa), con la situazione più esasperata su Roma che ha più di 80 edifici occupati abusivamente.

A questa situazione di vera emergenza, la Pubblica Amministrazione non riesce a far fronte con gli strumenti esistenti ed occorre pertanto puntare su nuovi modelli.

Al fine di delineare una possibile via di uscita è necessario esaminare i principali motivi che non consentono di trovare soluzioni nello scenario attuale:

  • Lo stato di dissesto/crisi finanziari di Regioni, Comuni ed Enti territoriali;
  • La ridotta capacità degli enti proprietari e gestori di patrimoni edilizia residenziale pubblica (d’ora in avanti “ERP”) di controllare e far rispettare i criteri di accesso, con conseguente presenza di inquilini non più titolari di diritto;
  • La ridotta capacità degli enti proprietari e gestori di realizzare nuovi grandi progetti di ERP.

Queste riflessioni deve averle fatte anche chi ha introdotto il c.d. Social Housing (d’ora in avanti “SH”) che ha demandato lo sviluppo di questa componente edilizia ad un fondo immobiliare dedicato gestito da CDP Investimenti SGR SpA (d’ora in avanti “CdP”) che ha avuto una dotazione iniziale di 2 miliardi di Euro – il Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA); questo fondo funziona attraverso uno schema in cui CdP contribuisce a finanziare, con capitale sino all’80%, progetti generati sul territorio e sviluppati in all’interno di fondi immobiliari gestiti da altre SGR. Il doppio livello di azione consente di attrarre capitali di altri investitori pubblici e privati interessati ad intervenire solo su talune iniziative a livello locale ed allo stesso tempo a mettere in campo una progettualità diffusa presente in questi operatori professionali, vigilati da Banca d’Italia e soggetti a una pluralità di controlli.

In effetti, con un lento ma progressivo avvio, il piano ha dato i suoi frutti con iniziative avviate ed in alcuni casi concluse. Ad oggi, sono stati investiti complessivamente 3 miliardi di Euro necessari a realizzare oltre 20.000 alloggi e 8.500 posti letto in residenze universitarie.

Rammentiamo che il SH si pone come mercato intermedio per soddisfare le esigenze di quelle famiglie che non possono permettersi di pagare un canone di mercato ma che possono affrontare un canone “controllato” ovvero mantenuto entro determinati limiti. Il progressivo ingresso sul mercato di questi patrimoni potrà contribuire ad alleggerire la situazione del patrimonio ERP convogliando sul SH le famiglie che hanno perso i requisiti e liberando così appartamenti disponibili per nuove assegnazioni. Il SH non potrà però mai essere la soluzione al problema ERP e delle occupazioni abusive.

Il modello adottato per lo sviluppo del SH può invece offrire una prospettiva di soluzione anche per la ERP. Infatti, la replica di tale modello potrebbe consentire di superare i motivi su citati allo sviluppo della ERP.

Perché allora non lanciare un nuovo fondo immobiliare di ERP gestito da CdP che riceva una dotazione pubblica ma che ricerchi anche altri contributi di capitale? D’altra parte, molti enti pubblici stanno affrontando processi di dismissione che riguardano migliaia di appartamenti e, secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 4 del DGRL 410/2015 (c.d. Decreto Lupi), questi ultimi sono obbligati a reinvestire in operazioni di sviluppo della ERP. E allora perché non dedicare questi fondi a finanziare proprio il nuovo fondo che avrebbe i medesimi obiettivi? In effetti gli enti interessati oggi non sono nelle condizioni finanziarie né organizzative né professionali di poter affrontare progetti di sviluppo su larga scala, che invece sono in grado di gestire CdP e le altre SGR. Tali risorse finanziarie potrebbero confluire nel fondo immobiliare a fronte di quote dello stesso, consentendo da un lato la partecipazione degli enti alla governance – e quindi alle decisioni di investimento che verrebbero effettuate sui territori in proporzione alle risorse ricevute – e dall’altro di poter ricevere gli immobili come rimborso di capitale in natura alla fine della durata del fondo stesso.

Rammentiamo inoltre che recentemente la manovra finanziaria 2020 ha dedicato risorse al c.d. piano “Rinascita Urbana” che troverebbe perfetta attuazione nell’ipotesi progettuale proposta.

Se configurassimo un progetto nazionale su larga scala, in partenariato pubblico-privato, che fissi obiettivi ben specifici, si potrebbe immaginare che le fondazioni, le casse di previdenza ed i fondi pensione, fino ad ora restii, ma allo stesso tempo desiderosi di avere un ruolo sociale, possano essere interessati ad offrire il loro contributo. In altre realtà internazionali, in un crescente ambito di responsabilità sociale, anche le grandi aziende hanno iniziato a finanziare progetti similari, si veda ad esempio il caso della Apple che ha stanziato 2,5 miliardi di dollari per la lotta all’emergenza abitativa in California.

Attivati i fondi e acquisito il capitale, si potrebbe investire su progetti di rigenerazione urbana – senza quindi consumo di suolo e con il recupero dell’esistente – andando a recuperare edifici o aree dismessi, per lo più all’interno dei centri urbani, consentendo di offrire ERP in zone semicentrali ed evitando la creazione di nuovi quartieri dormitorio nelle estreme periferie.

Ci immaginiamo che i proprietari di interi stabili occupati abusivamente – in alcuni casi da 10 o 20 anni – possano essere disponibili a venderli a fondi con questi scopi che si prendano in carico la situazione di occupazione. Certamente il coinvolgimento di immobili oggi occupati abusivamente presuppone che si proceda poi al censimento dei loro abitanti ed alla loro ricollocazione all’interno degli immobili del fondo, regolarizzando le situazioni di occupazione ed eliminando quelle condizioni di degrado e rischio in cui vivono oggi le famiglie interessate. E’ evidente che ogni piano di mobilità, per l’estrema complessità e delicatezza che comporta, debba essere frutto di un lavoro concertato di molti attori, fra i quali spiccano le organizzazioni sindacali degli inquilini, le prefetture e le questure.

Altra fonte di approvvigionamento potrebbe essere offerta dai numerosi cantieri rimasti incompiuti per il fallimento dei costruttori.

In entrambi i casi le situazioni di fatto consentirebbero acquisti a costi contenuti, lasciando spazio ai costi di riqualifica e cumulando un investimento complessivo compatibile con i flussi di canoni che tali portafogli potrebbero generare.

Nella prospettiva di fondi immobiliari che avrebbero durate fra i 30 ed i 50 anni si potrebbe così ricostituire su un “binario parallelo” un patrimonio ERP che sarebbe poi trasferito sugli enti che al tempo saranno deputati di gestire la ERP, idealmente completando l’utilizzo delle risorse acquisite dai piani dismissione in corso. Sarebbe ideale che nel frattempo i compiti, le responsabilità e le risorse fossero riorganizzate fra Regioni, Comuni ed enti territoriali in modo da rigenerare un interlocutore proprietario unico, dotato di strutture, professionalità e organico per affrontare nel futuro la loro gestione ordinaria.

Da professionisti del settore e da cittadini, ci auguriamo di aver offerto con questo breve articolo qualche spunto utile alla ricerca di soluzioni per questo drammatico problema che interessa tutti, anche chi una casa la ha già. Per valutarne la concreta fattibilità, non solo quella intuitiva, occorre ora che le diverse componenti del Paese si attivino con la costituzione di tavoli di lavoro, ai quali ci offriamo di partecipare per continuare a dare il nostro contributo.

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(*) Carlo Palmeri – Managing Director e Andrea Massacci – Consulente di CONIO srl società di investimenti e servizi immobiliari che assiste da un decennio i grandi proprietari immobiliari, per lo più investitori istituzionali, nei processi immobiliari di investimento e disinvestimento, e vanta una specifica esperienza nella gestione dei patrimoni residenziali privati e pubblici.